Il Caso Serio della Corona
Un giorno un sacerdote si presentò nell'aula di un liceo di Monza per la sua prima lezione di religione. Nonostante il caldo che
accompagnava quei primi giorni di settembre, il nuovo insegnante
indossava una lunga veste nera che giungeva fino ai talloni, per
questo motivo chiamata "talare". Improvvisamente, alla vista del
prete, uno degli alunni si precipitò in fondo alla classe, afferrò il
crocifisso che stava appeso alla parete e lo scaraventò fuori dalla
finestra: gli occhi sbarrati e le bocche aperte dei presenti fecero da
cornice all'infame gesto. Sedendosi impassibile sulla sedia, il presbitero estrasse il registro dalla sua fedele valigetta in pelle nera e
cominciò l'appello.
Al termine della lezione, alcuni dei presenti, si avvicinarono al reverendo per chiedergli perché non avesse preso alcun provvedimento nei confronti del temerario lanciatore di oggetti sacri. Al che il
don, nome con cui i ragazzi iniziarono a chiamare confidenzialmente
il nuovo professore, reclinando il capo all'indietro e irrompendo in
una fragorosa risata, se ne andò senza rispondere nulla, lasciando i
presenti alquanto stupiti.
Inutile a dirsi, per il resto della giornata nel liceo classico Manzoni
non si parlò d'altro.
Il giorno dopo, la storia del don e del crocifisso volante passò nel
dimenticatoio, come un vecchio file finisce nel cestino del desktop.
D'altronde anche gli studenti del rinomato liceo monzese lo sapeva
no bene: ogni cosa passa, come cantavano in quel periodo Francesco
Gabbani ("Comunque vada, pánta rheî") e il gruppo musicale dei
Negramaro ("Tutto scorre"). Anche se qualcuno era pronto a giurare
che prima di loro quella frase l'avesse detta un certo Eraclito dalle
parti di Efeso.