Il Caso Serio della Corona 

di Marco Pilotti

  Un giorno un sacerdote si presentò nell'aula di un liceo di Monza per la sua prima lezione di religione. Nonostante il caldo che accompagnava quei primi giorni di settembre, il nuovo insegnante indossava una lunga veste nera che giungeva fino ai talloni, per questo motivo chiamata "talare". Improvvisamente, alla vista del prete, uno degli alunni si precipitò in fondo alla classe, afferrò il crocifisso che stava appeso alla parete e lo scaraventò fuori dalla finestra: gli occhi sbarrati e le bocche aperte dei presenti fecero da cornice all'infame gesto. Sedendosi impassibile sulla sedia, il presbitero estrasse il registro dalla sua fedele valigetta in pelle nera e cominciò l'appello. 

  Al termine della lezione, alcuni dei presenti, si avvicinarono al reverendo per chiedergli perché non avesse preso alcun provvedimento nei confronti del temerario lanciatore di oggetti sacri. Al che il don, nome con cui i ragazzi iniziarono a chiamare confidenzialmente il nuovo professore, reclinando il capo all'indietro e irrompendo in una fragorosa risata, se ne andò senza rispondere nulla, lasciando i presenti alquanto stupiti. Inutile a dirsi, per il resto della giornata nel liceo classico Manzoni non si parlò d'altro. Il giorno dopo, la storia del don e del crocifisso volante passò nel dimenticatoio, come un vecchio file finisce nel cestino del desktop. 

  D'altronde anche gli studenti del rinomato liceo monzese lo sapeva no bene: ogni cosa passa, come cantavano in quel periodo Francesco Gabbani ("Comunque vada, pánta rheî") e il gruppo musicale dei Negramaro ("Tutto scorre"). Anche se qualcuno era pronto a giurare che prima di loro quella frase l'avesse detta un certo Eraclito dalle parti di Efeso. 

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