Il concerto come esperienza religiosa.

23.05.2024

di Marco Pilotti

Senza escludere che anche la musica classica abbia una valenza come esperienza religiosa, in questa analisi l'attenzione sarà posta sul rapporto tra i giovani e la musica contemporanea negli ultimi decenni. Il dato di partenza osservabile del fenomeno è che l'ascolto della musica è un aspetto fondamentale della vita della maggior parte dei giovani, tanto da diventare un vero e proprio "habitus". Questo termine, nella sua accezione sociologica, si riferisce alla condivisione di uno spazio sociale che permette ai membri di una società di avere una medesima percezione delle pratiche sociali.

Seguire un cantante o un dato genere musicale, significa entrare in un sistema culturale fatto di segni, di linguaggi propri, determinati dagli "idoli" della musica. Non a caso, i giovani attribuiscono ai loro beniamini appellativi tratti dal linguaggio religioso. Ad esempio, espressioni come "Freedy Mercury è un mito", o il concerto annuale "Gods of Metal" evidenziano questa connessione.

È interessante osservare la correlazione tra il carattere di una persona e il genere musicale che ascolta. In base alla sua personalità, agli interessi e la sua cultura, una persona si orienterà in una certa direzione. Ad esempio, un ragazzo timido e introverso degli anni '80, probabilmente si sarebbe sentito attratto dal genere "Dark", in cui i testi e le musiche sono incentrati sulla malinconia o sulla tristezza.

Una volta individuato il genere o il cantante di riferimento si fanno propri i simboli associati e si decide di aderire al "sistema culturale" di quella specifica esperienza musicale. In questo senso l'esperienza musicale può essere considerata religiosa.

Innanzitutto, si costituisce uno spazio sacro, un luogo "separato", dotato di un linguaggio proprio e di un modo di porsi davanti al mondo. Prendiamo ad esempio l'esperienza della musica Beat in particolare il famoso gruppo musicale dei Beatles, ciò che si voleva comunicare andava al di là della mera fruizione musicale. Era un invito a una nuova prospettiva, un modo di vedere e vivere la realtà, dando il via a una rivoluzione culturale.

Prendendo in prestito il linguaggio della liturgia, i cantanti diventano i sacerdoti, l'arena o lo stadio il tempio. Il concerto è il rito o il sacrificio da compiere che consiste nel rimanere in piedi per ore soffrendo per i propri idoli.

Analizziamo l'esperienza del concerto attraverso tre passaggi: disgregazione, transizione e reintegrazione.

Disgregazione: questo è il momento in cui si esce dalla routine quotidiana. Dopo una settimana di scuola o lavoro, si abbandonano gli abiti della quotidianità per prepararsi a entrare in uno spazio sacro, separato. È come quando in passato si indossava l'abito della festa per recarsi a messa; anche nel contesto di un concerto o di una discoteca, si sceglie il look, adatto. Per un concerto di musica rap, l'abbigliamento giusto potrebbe essere un pantalone largo con il cavallo basso, una canottiera adatta a mostrare i vistosi tatuaggi, il tutto condito con catene, anelli e piercing. Anche i tatuaggi e i piercing possono richiamare pratiche religiose di origine tribale.

Transizione: Per partecipare al concerto ci si estranea dalla vita quotidiana per immergersi completamente nella nuova realtà, una sorta di esodo verso il luogo del "rito". Giunti a destinazione c'è un limite, un confine da varcare, dove si accede con un biglietto e con i vestiti adatti. Una volta entrati nel recinto ci si viene a trovare in una nuova dimensione. La musica, le luci, l'energia della folla creano un'atmosfera unica. È come entrare in uno stato alterato di coscienza, dove il tempo sembra dilatarsi e tutto il resto svanisce. Nella nuova dimensione è possibile ciò che nella quotidianità non era consentito. Si balla, si beve, si fanno uso di droghe, il tutto per entrare in uno stato di trance, in modo tale che la separazione dal mondo sia completa.

In uno stato come quello descritto, ci si dimentica della quotidianità con il suo fardello di impegni e responsabilità. I cantanti o i Deejay assumono il ruolo di sacerdoti che guidano il rito collettivo, invitando ad alzare le mani e a cantare come in una sorta di assemblea liturgica. Le migliaia di accendini accesi di un tempo, oggi sostituiti dalle luci dei telefonini, rimandano alle candele nelle mani dei pellegrini durante le grandi processioni mariane. Gli artisti detengono il talento ricevuto per "grazia", posseggono il "carisma", e le persone si identificano in loro, ma nello stesso tempo sussiste una distanza invalicabile: sono inavvicinabili, intoccabili.

In questo contesto i cantanti assumono il ruolo di pontefici; tuttavia, il loro intento non è quello di indirizzare il culto a una divinità ma a loro stessi.

Reintegrazione: concluso il concerto, è il momento di rientrare nella normalità. L'esperienza vissuta è simile a un rito iniziatico, in cui si trascorre un determinato tempo fuori dalla comunità per poi rientrare con una nuova consapevolezza. Quali sono le caratteristiche di questa forma di religiosità paragonata a un idea più tradizionale del termine? Innanzitutto si tratta di una religiosità fluida, non stabilita una volta per tutte, anzi, è intercambiabile. Oggi posso seguire un determinato cantante o una moda, e domani scegliere qualcos'altro Questo può portare a una frammentazione delle identità forti presenti nella società e, di conseguenza, lo sgretolarsi dei riti tradizionali. Ciò che conta non è più la ricerca dei valori o della verità, ma provare emozioni sempre nuove e sempre più forti.

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